Il caso di Christian Eriksen, centrocampista dell’Inter e della nazionale danese, che si è accasciato al suolo privo di sensi durante la partita Danimarca – Finlandia  dei campionati Europei, ha riportato drammaticamente alla ribalta l’importanza del tempestivo soccorso sportivo dell’atleta sui campi di gara. Solo l’intervento immediato del capitano Simon Kjær, che lo ha messo nella giusta posizione e gli ha liberato le vie aree dalla lingua, e dei soccorritori, che gli hanno praticato il massaggio cardiaco nell’attesa di utilizzare  il defibrillatore, ha salvato il giocatore strappandolo da una morte certa.

Prima di lui, molti altri sportivi noti o meno noti  sono rimasti coinvolti in simili episodi con esiti il più delle volte infausti. Nonostante la  visita medico sportiva agonistica, a cui sono sottoposti con la legge italiana gli atleti sia professionisti che di livello amatoriale, abbia permesso di abbattere drasticamente la mortalità sui campi di gara, esistono purtroppo patologie cardiache di non sempre facile individuazione che possono causare morte improvvisa.

Si tratta di malattie  che possono essere sospettate in caso di famigliarità per questo tipo di decessi e nel caso di riscontro di soffi cardaci all’esame clinico che possono far pensare ad una patologia dell’aorta o a una cardiomiopatia ipertrofica. Ma anche l’esame di un semplice elettrocardiogramma a riposo può fare emergere alcune malattie che possono causare aritmie fatali come la sindrome di Brugada e la displasia aritmogena del ventricolo destro. Sono queste, insieme all’infarto acuto del miocardio, le patologie più frequentemente responsabili della morte improvvisa negli sportivi, patologie che quando si ha un sospetto clinico possono essere confermate da altri esami più approfonditi come l’indagine genetica, la risonanza magnetica del cuore o anche un semplice ecocardiogramma.

Per quanto riguarda invece le morti improvvise legate ad infarto del miocardio, che sono più frequenti nello sportivo master dopo i quarant’anni di età, quando l’elettrocardiogramma sotto sforzo denota qualche alterazione si possono proseguire le indagini con una Tac coronarica o con una coronarografia. Ma sono spesso anche i  comportamenti a rischio da parte dell’atleta a favorire le morti improvvise:  diete incongrue, l’utilizzo eccessivo di sostanze stimolanti a base di caffeina e taurina o di droghe, le sostanze dopanti, l’eccessivo carico di allenamenti o gare, lo scarso recupero, la disidratazione e la perdita di elettroliti con la sudorazione, sono tutti fattori che mettono a rischio la salute dell’atleta e che possono predisporre ad aritmie ventricolari che possono risultare fatali.

Il caso Eriksen ha ribadito l’efficacia del primo soccorso sul campo con il massaggio cardiaco  in attesa dell’arrivo dei soccorsi e del defibrillatore. La rianimazione cardiopolmonare, effettuata da chiunque si trovi vicino ad una persona colpita da un arresto cardiaco, è in grado infatti di aumentare fino a otto volte le probabilità che questa sopravviva all’evento e per questo è fondamentale che non solo i medici sportivi e il personale sanitario la conoscano ma che questa sia conosciuta da tutti gli atleti in campo in quanto la possibilità di salvare una vita può dipendere da loro, specialmente se gli eventi accadono durante gli allenamenti a livello di sport amatoriale, dove possono mancare soccorritori esperti e personale medico o paramedico.

E’ ovvio che il massaggio cardiaco  serve solo per aumentare la sopravvivenza del paziente in attesa che arrivi il defibrillatore che è l’unico presidio in grado di interrompere l‘aritmia che ha generato l’arresto cardiaco. Più passa il tempo più  i danni dell’aritmia possono essere irreversibili per la mancanza di ossigeno al cervello che crea danni irreversibili e permanenti. Secondo stime ufficiali il successo delle manovre di defibrillazione si riduce del dieci per cento ogni minuto che passa dall’evento critico ed ogni anno si potrebbero salvare in Italia molte vite se sui campi di gara aumentassero le persone formate a soccorrere gli atleti.

Non sono solo gli eventi cardiaci a richiedere competenza nel soccorso ma anche i traumi cranici ,i traumi  addominali, le fratture o le gravi ferite che  si possono verificare in diversi sport, richiedono un intervento tempestivo e adeguato in attesa dell’arrivo dell’ambulanza evitando in questo modo tutta una serie di errori che nel soccorso del trauma cranico dello sportivo sono responsabili di circa i 50 per cento dei danni neurologici permanenti.

In questa ottica andrebbero sempre più valorizzati da parte del Coni, delle Federazioni sportive e degli Enti di Promozione Sportiva i corsi teorico-pratici ideati e promossi dalla Federazione Medio Sportiva Italiana sul primo soccorso sportivo defibrillato in cui oltre all’uso del defibrillatore vengono insegnate tutte le manovre per fronteggiare le diverse emergenze che si possono verificare sui campi di gara.

Di Gianfranco Beltrami

Gianfranco Beltrami, medico dello sport di fama nazionale, vicepresidente nazionale della Federazione medicosportiva italiana.

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