Recenti studi hanno documentato infatti come i batteri che popolano l’intestino possano influenzare anche il cervello
Si sente parlare ogni giorno di più del microbiota intestinale, vale a dire di quelle 1000 specie diverse di microorganismi che vivono nel nostro intestino: una popolazione di dieci volte superiore al numero delle cellule del nostro corpo che svolge importantissime funzioni.
Ogni volta che mangiamo nutriamo migliaia di miliardi di batteri, virus, funghi e altri microrganismi che abitano il nostro intestino e che influenzano in maniera importante la nostra vita e il nostro benessere con funzioni fondamentali per la salute, come la digestione, la produzione di vitamine, la regolazione del metabolismo (glicemia, colesterolo, trigliceridi, ecc.), dell’infiammazione, del sistema immunitario, perfino la conservazione della salute mentale.
I microbi trasformano il cibo non digerito in migliaia di ormoni, enzimi, vitamine, acidi organici, neurotrasmettitori come la dopamina e la serotonina, che regolano l’umore, il piacere, la motivazione, la felicità, l’appetito, il desiderio sessuale, il sonno.
Nei Paesi industrializzati l’uso sconsiderato di antibiotici e i cambiamenti della dieta (ricca di grassi e zuccheri raffinati e povera di fibra) hanno favorito nel tempo un microbiota che non ha la capacità di determinare risposte immunitarie equilibrate comportando una condizione patologica definita “disbiosi” che può causare diverse patologie fra cui malattie autoimmuni come l’artrite reumatoide, il morbo di Crohn e il diabete, l’obesità fino ai disturbi mentali e le malattie neurodegenerative.
Recenti studi hanno documentato infatti come i batteri che popolano l’intestino possano influenzare anche il cervello e avere un ruolo nella genesi di disturbi mentali e malattie neurodegenerative attraverso processi infiammatori dell’asse intestino-cervello: un importante studio pubblicato sulla rivista “Science” da un gruppo di ricercatori della Washington University di St.Louis ha scoperto che i batteri intestinali influenzano il comportamento delle cellule immunitarie di tutto il corpo, comprese quelle del cervello mentre uno studio di un gruppo di ricercatori dell’Università del Nevada, pubblicato su “Scientific Reports”, indagando la relazione tra malattia di Alzheimer e batteri intestinali ha scoperto che nei pazienti affetti da questo tipo di demenza il microbiota è più povero, con minore diversificazione di ceppi batterici e una minore quantità di quei ceppi che invece sono protettivi dall’infiammazione.
Lo studio ha identificato 20 batteri del microbiota umano con un’associazione significativa con la malattia di Alzheimer, di cui sei legati ad un maggior rischio di Alzheimer e 14 protettivi nei confronti della malattia.
La specie associata a un rischio più significativo è il Bacteroides, mentre il genere maggiormente protettivo sarebbe il Roseburia intestinalis.
È nata così una nuova scienza, la psicobiotica, che indaga come l’attività dei batteri intestinali possa collegarsi anche ai disturbi neuropsichiatrici come ansia e depressione, oltre al morbo di Alzheimer, suffragata dal fatto che alcuni studi hanno messo in luce come le persone che soffrono di depressione abbiano in media una popolazione batterica meno diversificata rispetto a quella dei soggetti sani.
A questo punto sorge spontanea una domanda: è possibile migliorare il proprio microbiota intestinale? La risposta è sì, modificando la dieta e gli stili di vita, evitando la sedentarietà, favorendo la presenza nell’intestino di una grande varietà di microbi con un’alimentazione completa e ricca di fibre vegetali contenute nei cereali integrali, nei legumi, nei semi oleaginosi, nelle verdure e nella frutta.
I componenti attivi di questi alimenti sono la cellulosa contenuta nella crusca dei cereali, nei legumi, nelle verdure a radice e nella buccia della frutta, le pectine di cui sono ricche le mele, i betaglucani contenuti nei cereali, le mucillagini di cui sono ricche alghe e semi di lino, l’inulina presente nella radice del tarassaco, nella cicoria, nei carciofi, nei porri e nelle cipolle.
Anche gli amidi che giungono non digeriti nel grosso intestino sono un ottimo cibo per i batteri e sono contenuti nella pasta di grano duro, nelle patate e nei cereali lasciati raffreddare dopo la cottura.
Può essere utile aumentare le spezie, le erbe officinali, i semi, i cibi fermentati come il miso, il kefir, crauti e altre verdure fermentate. Questi cibi sono utili per l’intestino e per la salute in quanto alcuni ceppi di microbi sono in grado di trasformare le fibre e gli amidi resistenti nei cosiddetti acidi grassi a catena corta (acido acetico, propionico e butirrico), che riducono l’infiammazione e acidificano l’ambiente intestinale rendendolo inospitale per la candida e altri microbi patogeni, mantenendo integra la mucosa intestinale in modo che non lasci passare nel sangue batteri e cibi non completamente digeriti e regolando l’appetito.
Per contro alcuni microbi collegati ad una peggiore salute cardiovascolare e metabolica sono favoriti da diete ricche di grassi saturi e da cibi industriali poveri di fibre e ricchi di zucchero, sale e ingredienti artificiali come additivi e conservanti.
Sono questi i cibi che favoriscono la “disbiosi” con una scarsa varietà microbica e prevalenza di specie che provocano infiammazione, gonfiori addominali, coliti, cistiti e infezioni da candida ed associata a un maggior rischio di obesità, diabete, malattie cardiovascolari, artrite reumatoide e altre malattie autoimmuni.
Articolo di Gianfranco Beltrami pubblicato su Gazzetta di Parma
Articolo molto interessante.
Il dottor Beltrami non si smentisce mai, è un medico straordinario
Grazie Giuseppina!! Apprezziamo moltissimo la stima
In attesa dell’ apertura delle Terme…